Per circa quattro mesi, tra luglio e ottobre 2020, ho portato in giro il mio romanzo attraverso un pezzo di Sud Italia. Ho chiamato il viaggio «leggere dove non si legge». Un progetto il cui scopo è stato raggiungere quei luoghi, tantissimi nel nostro paese, dove non ci sono librerie, teatri, cinema e talvolta nemmeno le edicole. 

Ho portato il libro sui passi di montagna, lungo i torrenti, nelle spiagge, nei mercati di frutta e verdura, nelle panetterie, nei lavatoi. L’ho portato in microscopiche frazioni dove l’unico punto di aggregazione è il bar.

Ed è in una spiaggia semi deserta, in una giornata torrida e umida, al riparo di un ombreggio che ho incontrato Roberto, un uomo dalla pelle cotta dal sole, tarchiato e ben piantato sui piedi. Un uomo pelato con il pelo fulvo, la canotta bianca e il bracciale. Forse aveva anche un tatuaggio sulla mano, non lo ricordo. Ricordo invece l’energia potente che emanava.

Roberto è un allevatore di cani caucasici. Roberto e i suoi cani hanno vinto molti premi, moltissimi, ma c’è un cane, un cane di una ricca cucciolata che non riusciva a vendere, lievemente più piccolo dei suoi fratelli, dal pelo striato, insolito per la sua razza, che lo ha incantato.

«Aveva un eleganza che non puoi capire», mi dice, «ho cresciuto centinaia di cani, campioni nazionali, campioni mondiali, ma uno così mai».

Quando Wolf compie tre anni finalmente compare un acquirente. Roberto se ne separa a malincuore. L’anno dopo Wolf diventa campione italiano. Passano gli anni e Roberto continua a vincere premi, è tra gli allevatori più stimati d’Europa, i suoi cani quando non vincono, si piazzano. È sempre lì, sul pezzo, che si batte per il successo. Di Wolf, l’ex-campione italiano dal pelo striato, non si sente più parlare. 

Capita che il vecchio acquirente passi da Roberto per comprare un altro cane. Roberto gli chiede di Wolf, gli chiede come sta.

«È vecchio, ha quasi nove anni, ormai non può vincere più niente»

Roberto non ci crede, non crede che un cane come Wolf non possa vincere più niente, non crede affatto che sia un cane finito. «Aveva un passo, un incedere» continua a ripetere.

Si accordano per la vendita, con l’impegno che in primavera quando passerà a ritirare il cucciolo porterà  con sé anche Wolf.

Arriva il giorno. Quando Roberto vede Wolf gli vengono le lacrime agli occhi, è dimagrito, il tono muscolare è giù ed il pelo è malandato, eppure non ha perso il suo passo, quando cammina, e Roberto intende quando avanza, è di un’eleganza mortale. Gli cede il cucciolo in cambio di Wolf.

Roberto mi guarda fisso negli occhi. Me li pianta nel cervello e dice:

«ci devi credere»

«ci devi credere, se non ci credi, non serve a niente».

«ci devi credere» ripete.

Roberto ha visto qualcosa. Ha visto che Wolf è un campione nato e ci crede. L’ha visto in quel passo, in quella taglia lievemente più piccola, in quel pelo striato. L’ha visto e ci crede con tutto se stesso.

Dopo sei mesi, Wolf è irriconoscibile, ha quasi dieci anni e vince un premio dietro l’altro. In Italia li ha spazzati via tutti. A Parigi è arrivato secondo, a un soffio dal primo. Ma è in Austria, a una delle tappe del campionato del mondo che Roberto sta puntando. Ci saranno tre cani russi, i caucasici per definizione, ed lì, nel territorio dei russi che Roberto vuole colpire.

Wolf vince. Li sbaraglia uno dietro l’altro. I tre proprietari Russi andranno a fargli i complimenti. I complimenti a Wolf, perché un cane così, si vede di rado. 

«Se non ci credi Tu, nessuno ci crede per Te» mi dice, e si commuove. 


Illustrazione di Federica Spotti

Se il racconto vi è piaciuto sarebbe bello se lo condivideste, grazie Eugenio

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